Premessa a «Metodo e poesia di Ludovico Ariosto e altri scritti ariosteschi» (1996)

È l’ultimo scritto ariostesco di Binni, a un anno dalla morte.

PREMESSA

Il mio incontro con l’Ariosto (senza veri e sostanziosi precedenti durante il periodo scolastico e neppure durante l’università se non in forma svogliata, frammentaria, certo con ammirazione, ma con scarso riconoscimento di una qualche effettiva congenialità) nacque da un’occasione offertami nella primavera del 1938 (ero a Pavia, insegnante in una scuola media superiore) dal mio maestro Luigi Russo, che ritenne interessante e produttivo fare questa prova del mio ingegno critico (in cui aveva generosa fiducia anche se lo aveva concretamente sperimentato in tutt’altra zona del gusto e della storia letteraria, cioè in zona, per quegli anni, molto “moderna”: la poesia decadentistica e simbolistica) affidandomi l’antologizzazione e il commento del Furioso e delle opere cosiddette minori dell’Ariosto per l’antologia I classici italiani da lui diretta presso l’editore Sansoni.

Fiducioso io stesso (forse anche troppo allora) nelle mie doti di adattabilità e nella capacità di penetrazione della mia lettura critica anche in poeti lontani (cosí allora pensavo) dalla mia esperienza e dalle mie prospettive di gusto e di Weltanschauung, accettai senz’altro l’offerta di Russo. E nelle vacanze acquistai l’edizione critica del Furioso del Debenedetti e quella delle opere minori del Fatini e me le portai in valigia per un periodo di soggiorno, con Aldo Capitini, Umberto Segre e altri amici antifascisti, a Collalbo sul Renon. E lí, nella dipendenza di un albergo (una vecchia villa circondata da alti abeti, molto silenziosa e propizia ad una lettura impegnativa), mi lessi e rilessi, con crescente adesione e addirittura entusiasmo, tutto il Furioso, prendendo appunti per il commento, l’antologizzazione e il discorso introduttivo.

Fu per me l’eccezionale, entusiasmante scoperta di un mondo poetico smisurato e straordinariamente mosso e alacre, che mi spinse ad adibire alla sua comprensione e interpretazione tutte le risorse della mia fantasia, del mio linguaggio, della mia cultura specie nella prospettiva visiva, musicale e sin cinematografica, alimentata in gran parte dalla lezione della “pura visibilità” appresa da uno dei miei cari maestri pisani, il critico d’arte Matteo Marangoni.

Sicché nella stesura del commento dell’antologia (attuata nel ’39 a Perugia, dove ero passato a insegnare all’Università per Stranieri e a vivere con la mia compagna, assidua collaboratrice fin da allora del mio lavoro) riversai e coordinai le impressioni e i rilievi della mia sensibilità (forse mai cosí alacre e spregiudicata) nel contatto euforico con la poesia ariostesca sul filo centrale della “deformazione” artistica delle misure profonde della realtà e soprattutto (come poi meglio feci in precisa direzione di poetica nel libro del ’47) del “ritmo vitale” trasfigurato nel ritmo poetico di un “sopramondo” rinascimentale (raccordo storico allora intravisto soprattutto nel campo figurativo) che certo mordeva nel vivo della poesia ariostesca assai piú del puro «amore per l’armonia cosmica» del Croce e del «nobile sognare» del Momigliano. Mentre uno scandaglio, anche se meno approfondito, nelle “opere minori” mi permetteva un recupero del loro alto valore artistico, non solo documentario, e un loro raccordo con toni e linee proprie del capolavoro. Poi, al di là di un breve saggio del ’40 sulla rivista «Leonardo», Consigli per una lettura del Furioso, che riprendeva la coeva introduzione al commento e ne accentuava il rischio delle equivalenze visivo-musicali e di certa modernizzazione in chiave analogica e surrealistica (era il periodo della mia maggiore partecipazione alle poetiche dominanti fra «Solaria» e «Letteratura»), ritornai all’Ariosto con alcuni saggi del ’45-47 (Introduzione alla poetica dell’Ariosto, «Aretusa», 1945; le Satire dell’Ariosto, «Belfagor», 1946; Metodo e poesia nell’Orlando Furioso, «Letteratura», 1947) che nello stesso 1947 rifusi nel volume Metodo e poesia di Ludovico Ariosto.

Con quel volume contribuivo piú compiutamente a una “svolta” nel problema critico ariostesco in forza della salda impostazione di uno studio di poetica (era l’anno anche della piú nota “svolta” nel problema critico leopardiano, che, per quanto mi riguarda, io promovevo con il mio libro La nuova poetica leopardiana) e con un’articolazione di tutta l’opera ariostesca appoggiata a una presentazione della personalità ariostesca (anche se dapprima posta “in appendice”, ma poi nella seconda edizione del libro, nel 1961, collocata piú giustamente e storicamente come primo capitolo della monografia) e con un articolato raccordo fra opere “minori” e Furioso, specie nelle Satire attraverso un ritratto interiore dell’Ariosto che appariva finalmente uomo-poeta, dotato di un senso delle “cose” attivo e penetrante, base vitale del suo slancio poetico a un sopramondo meglio precisato come rinascimentale (anche se un Rinascimento troppo burckhardtiano) non solo nelle misure artistiche, ma anche nelle forme letterarie.

Mentre un profilo di Storia della critica ariostesca del 1951 (Lucca, Lucentia) assicurava al mio work in progress ariostesco un piú saldo e completo appoggio della critica dal Cinquecento in poi e completava la direzione della mia poetica anche nei confronti della rozza posizione sociologica in quegli anni rinnovata entro la mia battaglia consueta contro il formalismo e il contenutismo sociologico.

Ma nell’intreccio e nello sviluppo delle mie esperienze critiche e dell’inerente muoversi della stessa mia nozione e strumento della poetica proprio nel saggio metodologico del ’60, Poetica, critica e storia letteraria (in «La Rassegna della letteratura italiana» e nell’omonimo volume del ’63 pubblicato da Laterza), in un rapido scandaglio sul mio intervento ariostesco le mie crescenti e coerenti esigenze storico-critiche (quali si consolidavano in quel saggio ripubblicato nel 1993[1]) mi portavano a esplicitare, anche in forme di aperta autocritica, la mia volontà di una sostanziale correzione della mia immagine del Furioso, di cui, a ben vedere, non mancavano spunti in alcuni rilievi del commento sansoniano, poi troppo riassorbiti dalle prevalenti linee portanti del volume del ’47. Correzione inerente allo sviluppo maturo della mia nozione di poetica e dell’esercizio critico connesso. Là dove ripresentando rapidamente la mia prospettiva ariostesca come “svolta” del problema critico ariostesco avvertivo che «c’era molto da precisare e approfondire» su quella via e certi elementi epici «senza sorriso» mi avrebbero portato attualmente a rafforzare dell’Ariosto la profonda serietà umana e storica (ricca di problemi profondi), il nesso con la storia complessa del Rinascimento e della sua crisi, in una prospettiva storica che pochi anni dopo si sarebbe avvantaggiata della interpretazione storico-critica di Michelangelo scrittore[2]. E mi dicevo «conscio di un certo sbilanciarsi eccessivo del mio studio di poetica (nel caso dell’Ariosto) verso forme di equivalenza musicale (e pittorica spesso rischiosa) verso un’accentuazione a volte eccessiva del calcolo ariostesco»[3]. Quell’esigenza di rafforzamento della profonda serietà ed energia umana e storica, della potente intelligenza della personalità ariostesca, nonché degli elementi di storicità della sua opera, fu già resa evidente nel volumetto del ’68 Ludovico Ariosto (Torino, ERI) frutto di un corso del ’66 a “Classe unica” della RAI. Nato in una direzione di alta divulgazione, questo volume (arricchito di brevi antologie e di documenti della vita ariostesca e di parti delle opere ariostesche) riprende i motivi della interpretazione consegnata in Metodo e poesia, ma la ripensa e la irrobustisce progressivamente nella direzione suggerita dall’autocritica di Poetica, critica e storia letteraria, appoggiando anzitutto la rappresentazione dell’opera ariostesca nei succinti, ma ben scanditi preamboli di tipo biografico specie con l’uso piú valorizzato dell’epistolario sul tipo di un modulo di “vita e poesia” da me sperimentato in un noto saggio foscoliano del ’54 e in altri casi[4], e l’interpretazione del Furioso veniva appoggiata al rilievo delle lettere (specie di quelle rivelatrici di un’identificazione attiva dello scrivere-agire) del periodo del governatorato della Garfagnana, cosí diverso dal «nobile sognare» del Momigliano.

E proprio sulle Lettere e sulle Satire particolarmente indagavo quando, dopo alcuni corsi universitari dedicati soprattutto al Furioso, l’occasione del quinto centenario della nascita dell’Ariosto e un convegno dell’Accademia dei Lincei, nell’autunno del ’74, mi permetteva di riprendere, puntando proprio sulle Lettere e sulle Satire, e potenziare in senso sempre piú storico-critico e con nuovi rilievi il carattere attivo e vigoroso e il profondo interesse umano dell’autore e della commutazione in salda forza scrittoria e poetica di quella piú inedita personalità ariostesca e insieme l’intreccio, anche su base cronologica, fra la tarda maturità del poeta, indicazioni delle Lettere (specie quelle cosí significative del governatorato della Garfagnana), le salde indicazioni e prove sempre piú valutate delle Satire (fra acuto senso della realtà e frequenti esiti fiabeschi) e il senso greve e cupo delle «giunte», dei Cinque Canti, della terza edizione del Furioso con l’incupirsi degli elementi pessimistici e drammatici e il senso grave di una decadenza dei valori nella crisi generale del Rinascimento, con una nuova valutazione in tal senso degli ultimi canti.

E certo da questo saggio (raccolto provvisoriamente, nel ’78, in un volume universitario romano) nasceva in me, come pure in alcuni lettori piú attenti, il desiderio di un nuovo saggio puntato soprattutto sul Furioso, per il quale apprestai una notevole mole di appunti preparatorii in nuove e replicate letture del poema.

Ma intanto l’avanzarsi dell’età e il peso di alcuni “acciacchi” di salute, in coincidenza con la cessazione dello stimolo per me fortissimo dell’insegnamento universitario, prima con il collocamento “fuori ruolo” e poi con il pensionamento, vennero a incrociarsi anche con il prevalere di urgenza della sistemazione di altre mie opere su altri autori, Monti, Foscolo, Parini, Alfieri e soprattutto Leopardi che, specie con un ritorno rinnovato ai canti degli ultimi anni e quindi al capolavoro conclusivo della Ginestra, riassorbí il meglio delle mie forze residue.

Presentando i vari momenti della mia interpretazione ariostesca[5] anche nella costruzione di questo volume ho voluto prospettare concretamente il lungo cammino della mia “lettura” di quel grandissimo poeta, cammino che, a ben vedere, si è sviluppato nella sempre piú salda direzione storico-critica meglio realizzata nell’ultimo saggio qui raccolto, nell’incontro con la maturazione del mio metodo e con le sollecitazioni di mie interpretazioni di altri grandi poeti, in primo luogo Leopardi (il poeta che ho cercato di servire per tutta la mia vita) senza con ciò forzare la natura della poesia ariostesca su misure non sue, ma comunque valutandola su quelle della poesia piú grande e assoluta.

Desidero infine ringraziare della sua attenta cura la mia cara scolara Rosanna Alhaique Pettinelli cui si deve inoltre un efficace completamento sino a oggi della mia Storia della critica ariostesca.

4 novembre 1994


1 W. Binni, Poetica, critica e storia letteraria e altri scritti di metodologia, Firenze, Le Lettere, 1993.

2 Roma, L’Ateneo, 1965; poi Torino, Einaudi, 1975.

3 Poetica, critica e storia letteraria e altri scritti di metodologia cit., pp. 58-59.

4 Vita e poesia del Foscolo nel periodo fiorentino 1812-13, «La Rassegna della letteratura italiana», 1954, 2 (su cui C. Varese, Vita e poesia, «Criterio», 2, 1955) e per il Carducci nel volume Carducci e altri saggi, Torino, Einaudi, 1960 ss., nonché per il Leopardi nella Protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1973 ss.

5 Per una piú dettagliata stratigrafia del mio percorso ariostesco rinvio alle ricostruzioni eccellenti attuate dal mio vecchio allievo genovese, Giovanni Ponte, Walter Binni studioso dell’Ariosto, e dalla mia allieva pisana, Rosanna Alhaique Pettinelli, Dal “divino” Ariosto all’«umanissimo» Ariosto, tutti e due nel volume Aa.Vv., Poetica e metodo storico-critico nell’opera di Walter Binni, Roma, Bonacci, 1985, pp. 227-253 e pp. 254-272.